Nel 2007 Nature annunciò l’Human Microbiome Project (ancora in atto) per caratterizzare gli oltre 700 diversi tipi di batteri del nostro intestino e ne spiegò i motivi considerando che gli umani hanno circa 20.000 geni che codificano per proteine, ma se estendiamo questa visione a ciò che costituisce un essere umano dobbiamo stimare che il numero totale di microrganismi che vivono all'interno e sull'uomo (noto come microbiota) supera di 10 volte il numero delle cellule somatiche e germinali umane (che sono stimate in circa 40 miliardi di miliardi (40exp18, ossia, il chilo e mezzo di batteri che ci portiamo appresso è formato da 40exp19 cellule batteriche). Insieme, i genomi di questi nostri simbionti (definiti collettivamente come il microbioma), che hanno un numero totale di geni quantitativamente 1000 volte maggiore di quello umano, hanno fornito un consistente aiuto nella nostra evoluzione genomica, fin dai primordi. Se gli umani sono pensati come un composto di cellule microbiche e umane, il paesaggio genetico umano appare come un aggregato dei geni del genoma umano (in minoranza) e del microbioma (in maggioranza) e le caratteristiche metaboliche umane come una miscela di tratti umani e microbici (in maggioranza), allora emerge il quadro unitario di un "superorganismo" in cui il ruolo dei batteri non è secondario. Tutto ciò è detto in PubMed da 68884 lavori scientifici sul microbioma e 58845 sul microbiota dal 1956 ad oggi, con una impennata esponenziale dal 2000. Per essere chiari, nel nostro sangue viaggiano una enorme quantità di metaboliti dei nostri ospiti (che attraversano il colon) che, per esempio, si legano ai recettori di membrana di molte G-protein (e quindi controllando direttamente geni umani) ed in più ci aiutano nel controllo immunitario, solo per citare alcune cose.
Il microbiota intestinale è ormai da oltre una ventina anni di studi riconosciuto sempre più come una complessa rete di segnalazione che ha un impatto su molti nostri sistemi, oltre al sistema enterico, modulando, tra l'altro, anche le funzioni cognitive, tra cui i processi decisionali e l’apprendimento. Ciò ha ormai portato al concetto di un asse intestino-cervello guidato dal microbiota, che riflette un'interazione bidirezionale tra il sistema nervoso centrale e l'intestino. Se non è chiaro è il microbiota che suggerisce al cervello cosa fare.
Nel topo, nei pesci, nei mammiferi i batteri probiotici somministrati con il cibo hanno mostrato in processi infiammatori, una significativa diminuzione a livello cellulare (leucociti) e molecolare (diminuita espressione genica di IL6, TNF-a e NF-kB, p65). Nel ratto i probiotici hanno modulato l'espressione di un folto gruppo di geni nel tessuto cerebrale, come valutato dall'espressione genica intera, con evidenza di un forte cambiamento nei geni che controllano i processi di plasticità neuronale e infiammatoria. I dati suggeriscono che il microbiota intestinale può essere manipolato per avere un impatto positivo sulla funzione neuronale. L’esperimento è stato condotto su ratti di mezza età e anziani (paragonabili a cinquantenni e settantenni umani) con buoni risultati e simili.
In uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, su 59 pazienti (questa volta umani) in dialisi peritoneale, l’uso di probiotici a cps, mostra che i livelli sierici di TNF-α, IL-5, IL-6 e endotossina sono diminuiti significativamente dopo sei mesi di trattamento, mentre i livelli sierici di IL-10 sono aumentati in modo significativo. Al contrario, non ci sono stati cambiamenti significativi nei livelli di citochine sieriche e endotossina nel gruppo placebo dopo sei mesi. Inoltre, la funzione renale residua è stata preservata nei pazienti trattati con probiotici.
Ora, non dico che con i probiotici curiamo l’infezione virale da SARS-CoV-2, ma certamente oggi sappiamo che operano un controllo positivo sulle citochine pro-infiammatorie umane. Un domani chissà, … ma occorrono dati sperimentali specifici senza i quali nulla si può dire. Per ora è solo una ipotesi teorica.
Un saluto