Caro Gianluigi,
che le donne siano più brave dei maschi muscolari, almeno in questo mestiere che richiede conoscenza biomedica, non ho dubbi, sono d’accordo con te. Una delle differenze é l’impegno, ne hanno da vendere.
Quello su cui non sono d’accordo è il tuo ottimismo "ingenuo" del “crescere nel conoscere”. Non mi chiamare pedante o arrogante. Ho attraversato la ricerca scientifica biomedica dagli anni settanta ad oggi con buoni risultati per un italiano, sono stato anche a lungo negli USA (quando nessuno ci andava). Lo spirito del “crescere per conoscere” mi ha sempre sorretto ed ancora oggi continuo su questa strada, ma c’è un “ma” che mi rende critico. Oggi ho chiaro i limiti entro i quali si muove la conoscenza biomedica. Vuoi l'età, vuoi l'esperienza e le competenze acquisite, vuoi che sono referee di molte riviste internazionali, non mi manca la visione d’insieme di “come” e “cosa” si fa nel mondo biomedico.
Abbiamo due aspetti della conoscenza che oggi frenano la conoscenza "inquinandola" (non limitano, perché comunque andiamo sempre avanti), uno per Scarsa tecnologia e l’altro per Incapacità a gestire la tecnologia.
Scarsa tecnologia – il mondo della vita si fonda sulla cellula. Conoscere i suoi meccanismi e processi molecolari significa conoscere il metabolismo, l’omeostasi ed alla fine la malattia. Della cellula abbiamo una conoscenza grossolana. Sappiamo come è organizzata ma molto meno come funziona. Nella cellula due + due non fa quattro, né oggi possiamo ancora prevedere il risultato esatto. Non conosciamo i meccanismi profondi che sfociano poi negli aspetti macroscopici, fenotipici, o, se vuoi, anche i sintomi delle malattie. Le nostre conoscenze metaboliche sono rigide, senza tempo, non sappiamo il come, il dove ed il quando avvengono gli eventi cellulari.
Solo un esempio. Abbiamo poco più di 24-26 mila geni (mancano all’appello ancora circa 6.000 geni che codificano per piccolissime proteine, di cui non sappiamo nulla). Le proteine canoniche (quelle la cui sequenza corrisponde al gene) non esistono nella cellula, ma ogni proteina, dopo essere stata espressa dal gene, si trasforma in decine o centinaia di proteoforme diverse, ciascuna che controlla una funzione diversa. In una singola cellula abbiamo mediamente all’incirca 2 miliardi di proteine in un qualsiasi momento, suddivise in centinaia di migliaia di tipi diversi (molto, ma molto più dei 24-26 mila geni di partenza) che, a gruppi eterogenei, ma compatti, funzionalmente relazionati tra di loro, mandano avanti la “baracca” cellulare. Ciascuna proteina ha una vita media di minuti, poche durano di più (un esempio, l’emoglobina nel globulo rosso). Ovviamente il processo è altamente dinamico, le specie presenti si rinnovano in continuazione e cambiano le relazioni fisiche e funzionali durante le 24 ore (ritmi circadiani) o in caso di insulto esterno (la malattia). Di tutto questo solo ora ne intuiamo la conoscenza grazie alle prime timide tecnologie single cell e alle scienze omiche. Il cammino è lungo e senza conoscere le caratteristiche spazio-temporali degli infiniti sistemi che agiscono nella cellula non comprendiamo molto. SARS è un esempio attuale di non conoscenza dei meccanismi spazio-temporali, ma il cancro è l’emblema di sempre. Pensa solo che il virus con sole 30 proteine conquista una cellula con 2 miliardi di proteine e, ogni proteina virale deve "trovare" il suo specifico bersaglio nello spazio e nel tempo. Una precisione assoluta che presuppone una conoscenza assoluta dei meccanismi cellulari. E noi pensiamo di ... curare la covid.
Incapacità a gestire la tecnologia – La nostra conoscenza del mondo è sperimentale. L’esperimento perturba un sistema naturale, si usa una macchina o un mezzo che “vede” le variazioni, si accumulano i dati (= le variazioni), si analizzano, si fanno ipotesi, nascono le teorie. Ti porto un esempio biomedico.
Facciamo la sequenza del DNA di un genoma. Ci spostiamo lungo la sequenza per individuare (secondo certe regole) un pezzo di DNA che corrisponde ad un gene. Individuiamo un ORF (Open Reading Frame), cioè un quadro di lettura aperto che pensiamo debba contenere il gene. Da questo ORF ne ricavo con opportune tecnologie un cDNA che amplifico con (RT)-PCR (quella dei test molecolari su SARS), ne ricavo un plasmide che inserisco in un vettore di espressione batterica che me lo decodifica in una proteina che biosintetizza e che io posso (eventualmente) purificare in laboratorio. Dovremmo proseguire con metodi di laboratorio biochimico per accertare con chi questa proteina interagisce per produrre una funzione biologica che va verificata dimostrando con tecniche biofisiche che c’è stata l’interazione. Tutto lavoro sperimentale, lungo anni, costoso, che richiede molte competenze diverse e una specifica organizzazione.
Invece cosa fanno molti.
Uso la sequenza di DNA (dell’ORF) o del cDNA, la trasformo nella sequenza della proteina (triplette in amminoacidi) poi uso algoritmi informatici estremamente sofisticati per predire la struttura della proteina (fino alla 3D), con la struttura predico la funzione putativa della proteina e ne ricavo (predico sempre) la storia filogenetica comparata. Uso la funzione predetta per inquadrare la proteina nei meccanismi generali della cellula (segnalazione, metabolismo, ecc.) che vengono poi iscritti nelle banche dati Ontologiche (GO, KEGG, e tante altre). In caso di malattia, con gli array ricavo i geni differenzialmente espressi dal paziente e li analizzo con KEGG e GO, cioè spiego funzionalmente il meccanismo patogenetico della malattia, quindi organizzo la "cura" per il paziente. Se ho fortuna con la struttura 3D, progetto e fabbrico anche un farmaco. Tutto questo senza aver mai fatto un esperimento che provi che tutto questo esiste ed è reale. Se sbaglio a leggere ORF è la fine. Succede, ma con gli esperimenti poi correggo. Ovviamente, se interrogo la PubMed con ricerche tipo, “proteina XY struttura ai raggi X o NMR” o “proteina XY purificazione” o “proteina XY funzione” o “proteina XY saggio funzionale”, ecc. avrò sempre la stessa risposta: No results. Il fatto è che gli algoritmi di analisi danno sempre un risultato (output) e quasi sempre con una notevole significatività statistica perché ormai i dati virtuali totali sono parte integrante dei dati sperimentali totali archiviati nelle banche dati.
Di fatto stiamo producendo una conoscenza virtuale biomedica alternativa che si interseca con la conoscenza reale (sperimentale) biomedica, e tutto finisce nei sistemi dei BigData Biomedici dove gli algoritmi di controllo degli errori non vedono tutto questo perché “non sono errori”. Poi entra in ballo l’AI (Intelligenza artificiale) che impara sulla base di queste conoscenze "integrate" ed infine il mercato follemente utilizza l’AI, e tutto questo, per organizzare la famosa (ed eccitante per tutti) Medicina Personalizzata (e non solo).
Oggi stiamo procedendo così a … tutta birra, eccitati dalle nuove conoscenze ma pensiamo e critichiamo (dando talvolta i numeri) con una conoscenza antica, che non accenna a modificarsi. Purtroppo, oggi la usiamo per fare medicina, con dei limiti, ma ancora può andare. Domani, senza capacità critiche, al letto del paziente, non capiremo cosa è virtuale e cosa è reale. il resto te lo puoi immaginare.
Chiedo scusa, ma ho dovuto riassumere grossolanamente. Spero di aver reso il senso. Ovviamente non sono l'unico che si sta rendendo conto di cosa stia accadendo.
Un saluto